Il ragazzo che amava l’Italia. Feliciano Magro

La voglia di tornare alle proprie radici, anche solo professionalmente, è stata alla base dell’importante scelta che un giovane ragazzo italo – svizzero ha preso nel corso della sua carriera.

Feliciano Magro, questo il suo nome, è stato un centrocampista di grande prospettiva che non è riuscito a realizzare quanto di buono si diceva sul suo futuro.

Padre siciliano emigrato in Svizzera e sposato con una donna di Lucerna, inizia a giocare a calcio a cinque anni con la Juventus Zurigo.

A tredici è nello Zurigo e quattro anni dopo il salto nel Grasshoppers, quando manca poco per diventare maggiorenne.

Esordisce nella massima serie elvetica nel 1997, a diciotto anni, dimostrando di essere un centrocampista tecnico ma di agonismo, uno alla Boban, il suo idolo.

Nella sua prima stagione da professionista ha la fortuna di festeggiare la vittoria del campionato e poi quella di esordire nelle qualificazioni di Champions League.

Il suo nome arriva sulle pagine dei giornali nostrani quando, alla fine del 1999, viene raccontata la storia di questo ragazzo che ha voglia di giocare con la maglia azzurra.

Accade che viene convocato per la nazionale Under 21 svizzera ma quando scopre che Marco Tardelli, commissario tecnico della pari età italiana, lo sta facendo seguire (da Claudio Gentile, non uno qualunque) chiede di non giocare.

Scendendo in campo, infatti, si precluderebbe la possibilità di una chiamata dall’Italia.

I giornali scrivono di ipotetici dolori inventati per raggiungere lo scopo, una versione smentita dallo stesso Feliciano.

Il suo sogno, personale e professionale, è giocare nel nostro paese.

Un sogno che si realizza solo in parte.

Viene convocato da Tardelli in alcune occasioni ma non scende mai campo.

Per tre volte, invece, gioca con la maglia azzurra della Under 20.

Accade poi che negli stessi mesi della scelta in favore della nazionale italiana, viene seguito anche da osservatori dell’Udinese.

Nel gennaio 2000 firma un contratto di tre anni e mezzo, cartellino pagato due milioni e mezzo per la comproprietà.

I primi sei mesi in Friuli sono di ambientamento ad un calcio molto diverso da quello a cui è abituato.

Non riesce a fare il suo esordio nel calcio italiano e si decide di mandarlo in prestito per due stagioni, la prima al Basilea e la seconda allo Zurigo.

Il ritorno ad Udine è forse anche peggio della prima breve esperienza.

Si frattura il malleolo e deve restare fermo per diversi mesi, recuperando poi con fatica dall’infortunio.

Lascia Udine per tornare al Grasshoppers, con l’amaro in bocca per essere riuscito ad imporsi in Italia.

Il resto della carriera si svolgerà tra Svizzera (Lugano, ancora Grasshoppers, Chiasso e Mendrisio) e Svezia (Landskrona, Djurgarden e Norrkoping.

Termina una carriera che poteva essere sicuramente migliore.

Tornerà in Svezia (dove è il primo e per ora unico svizzero ad aver giocato nel massimo campionato) a fare l’osservatore ed il procuratore, non disdegnando di giocare a livello amatoriale.